SALARI E GLOBALIZZAZIONE: IL PENSIERO SOCIALE DELLA CHIESA - Riflessioni di Giovanni Scanagatta - UCID-Roma

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SALARI E GLOBALIZZAZIONE: IL PENSIERO SOCIALE DELLA CHIESA

Pubblicato da Giovanni Scanagatta in articolo · 26/10/2019 14:32:07
E’ sotto gli occhi di\ntutti che con la globalizzazione si sono ridotti i salari nei Paesi con redditi\npro capite elevati e sono invece aumentati \nnei Paesi con redditi pro capite bassi. \nAbbiamo assistito quindi ad una convergenza come effetto della\nglobalizzazione e della libertà di movimento dei beni, dei servizi e dei\nfattori della produzione. I teoremi di economia hanno spiegato questo fenomeno\ndel livellamento delle remunerazioni dei fattori della produzione, senza\ntuttavia illustrare le modalità di convergenza\ndei salari a livello mondiale.

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Dobbiamo per questo\nricordare il famoso teorema di P. Samuelson del 1948 in cui si dimostra che in\ncaso di perfetta mobilità dei beni e di totale immobilità dei fattori della\nproduzione si ha, sotto particolari ipotesi del progresso tecnico e del mercato\ndi libera concorrenza, il livellamento delle remunerazioni dei fattori della\nproduzione. Con la globalizzazione assistiamo non solo al libero movimento dei\nbeni e dei servizi ma anche quello dei fattori della produzione, e quindi il\nlivellamento assume ancora maggiore forza. E’ un punto quest’ultimo\nparticolarmente messo in evidenza dal nostro economista padovano Marco Fanno.

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Per quanto riguarda le modalità\ndi convergenza dei salari a livello\nmondiale possiamo fare tre ipotesi: i salari dei Paesi con redditi pro capite\nbassi convergono totalmente verso quelli dei Paesi con redditi pro capite\nbassi; i salari dei Paesi con redditi pro capite alti convergono totalmente\nverso quelli dei Paesi con redditi pro capite bassi; i salari dei due gruppi di\nPaesi convergono verso un livello intermedio. Naturalmente nelle diverse\nipotesi assistiamo ad una modificazione della distribuzione dei redditi tra i\nfattori della produzione che influisce sui tassi di crescita del reddito e\ndell’occupazione dei Paesi ad alti e a bassi redditi pro capite.

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Con la globalizzazione le\nimprese tendono, a parità di altre circostanze, a spostarsi verso i Paesi con\nsalari più bassi, che gradualmente cominceranno a crescere contribuendo a\nmigliorare le condizioni di vita dei Paesi con redditi pro capite bassi. Il\ncontrario succede nei Paesi con redditi pro capite elevati, con una caduta dei\nsalari e uno spostamento della distribuzione dei redditi tra i fattori della\nproduzione a favore dei profitti. In queste condizioni, diminuiscono i costi\nmedi di produzione e quindi, a parità di profitti, si assiste ad una caduta\ntendenziale dei prezzi.

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Con la caduta dei salari\nnei Paesi con redditi pro capite elevati, diventa conveniente per le imprese\nritornare a produrre nei paesi di origine, tenuto anche conto delle migliori\ncondizioni generali di produzione e del più elevato livello di istruzione e di\nformazione nei Paesi ricchi. Quest’ultimo fattore diventa molto importante in\npresenza di una forte accelerazione del processo tecnico come sta avvenendo\nattualmente. Pensiamo ad Industria 4.0.

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Le considerazioni che\nabbiamo svolto sopra ci fanno capire perché Amazon che opera in Italia con due\nstabilimenti paga i propri operai poco più di 8 euro all’ora, in presenza di\nprocessi produttivi molto automatizzati e robotizzati. Fenomeni subito imitati a\nlivello nazionale se si pensa che molte cooperative della grande distribuzione\npagano i dipendenti 6 euro lordi all’ora.

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Facendo un semplice\ncalcolo, si vede che un operaio di Amazon che lavora tutto l’anno percepisce un\nreddito lordo di circa 16 mila euro, cioè 8 mila euro netti all’anno e 700 euro\nal mese. Questo reddito netto annuo corrisponde al reddito pro capite dei Paesi\npoveri. Siamo ad un livello simile al reddito pro capite dell’India.

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Il quadro sopra\nillustrato ci dice che con la globalizzazione si è assistito ad una modifica\ndella distribuzione del reddito tra salari e profitti, a favore dei secondi.\nPoiché i percettori di salari e di profitti hanno una diversa propensione al\nconsumo (alta per i salari e bassa per il profitti), cio’ porta, sulla base del\nmoltiplicatore keynesiano degli investimenti, ad una minore crescita del\nreddito e dell’occupazione. Ciò, per la verità, era stato previsto già prima di\nKeynes dal grande economista polacco Kalecki.

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In sostanza, come\nsostiene Pietro Onida, rappresentante assieme a Gino Zappa della nostra\ngloriosa scuola di economia aziendale, la ricchezza si accresce non difendendola ma diffondendola.

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La Chiesa, con il suo\nalto pensiero sociale, si è sempre battuta per un salario giusto che deve\nconsentire alla persona di vivere dignitosamente assieme alla sua famiglia.\nCome afferma Papa Francesco, “Non c’è peggiore povertà di quella che non\npermette di guadagnarsi il pane e che priva della dignità del lavoro”.

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Il concetto di giusto\nsalario si trova già in Aristotele (Politica, Etica Nicomachea) che si è poi\ntrasmesso nel pensiero aristotelico-tomistico e in quello sociale del Medioevo.\nCome si legge nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del 2004, tutte\nle Encicliche sono permeate da questi concetti del giusto salario, del giusto\nprezzo e del giusto tasso di interesse, a partire dalla Rerum novarum del 1891 di Leone XIII. E’ la centralità della\npersona che deve essere assolutamente preservata, garantendo a chi lavora un\nsalario che gli consenta di vivere dignitosamente e di mantenere la sua\nfamiglia. Sono valori che troviamo puntualmente nella nostra Costituzione dove\nsi afferma che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla\nquantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare\na sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
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Giovanni Scanagatta
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Roma, 26 ottobre 2019         
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