LAVORO E QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE - Riflessioni di Giovanni Scanagatta - UCID-Roma

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LAVORO E QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Pubblicato da Giovanni Scanagatta in economia · 1/6/2019 14:48:21
1. LO SCENARIO
 
Lo scenario appare caratterizzato da due elementi fondamentali: la globalizzazione e l’accelerazione del progresso scientifico e tecnico riguardante le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le biotecnologie, le nanotecnologie, i nuovi materiali, con una tendenza sempre più forte alla convergenza e integrazione tra tutte queste aree. Per quanto riguarda la globalizzazione, è interessante ricordare che il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del 2004 definisce la globalizzazione come una delle tre grandi sfide che sta davanti a noi all’inizio del terzo millennio; il Compendio afferma che "la globalizzazione ha un significato più largo e più profondo di quello semplicemente economico, poiché nella storia si è aperta una nuova epoca, che riguarda il destino dell’umanità. Globalizzazione e progresso scientifico e tecnico stanno letteralmente rivoluzionando il mondo del lavoro, con distruzione e creazione di nuovi posti di lavoro grazie alle nuove tecnologie, ma con un saldo negativo tra le due tendenze. La globalizzazione ha messo in crisi la politica che si disperde nei duecento Paesi che formano il nostro pianeta, mentre hanno preso il sopravvento la finanza e la tecnostruttura che mirano a controllare tutto essendo considerate il "cervello dell’economia". L’industria finanziaria ha preso il sopravvento sul settore reale dell’economia, con la tendenza a estrarre valore invece di creare valore. Di fronte a questa tendenza, Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium dice no ad un denaro che governa invece di servire. Questa tendenza ha portato ad una finanziarizzazione anche del settore reale dell’economia, come mostra ad esempio il settore dell’auto. Siamo per questo arrivati alla distorsione per cui non vengono concessi sconti quando si acquista in contanti un’automobile, ma vengono concessi sconti per l’acquisto a rate su cui vengono pagati tassi di interesse elevati che arrivano anche all’8%. In questo modo le case automobilistiche guadagnano di più dal pagamento rateizzato dell’automobile che dalla vendite delle automobili come bene reale. Il progresso scientifico e tecnico è il motore dello sviluppo economico e determina l’aumento della produttività che si riflette in gran parte sulla crescita del reddito pro capite e in parte minore, ma crescente, sulla durata del tempo di lavoro. Keynes prevedeva già una settimana lavorativa di 25 ore. Pensiamo per questo agli effetti della robotica e dell’intelligenza artificiale. Alla riduzione del ruolo della politica con la globalizzazione, ha corrisposto un peso crescente delle religioni che per definizione sono portate a guardare il mondo intero Basta per questo ricordare il passo evangelico di Matteo dove si afferma la missione del cristianesimo: "Andate il tutto il mondo e predicate il Vangelo a tutte le genti". Le tre religioni abramitiche (cristiani, musulmani, ebrei) rappresentano circa un terzo della popolazione mondiale, con l’incognita dell’Africa che al 2050 avrà una popolazione di 2,5 miliardi su un totale mondiale di 9, pari al 28%. Il futuro del mondo si giocherà sull’Africa e purtroppo noi europei non lo abbiamo capito, sommersi dall’emergenza delle immigrazioni. Lo ha invece capito benissimo la Cina che sta facendo grossissimi investimenti in Africa. La Cina è l’unico grande Paese comunista al mondo, con una strana combinazione tra capitalismo di Stato all’interno e capitalismo di mercato all’esterno. Se l’Europa non si dota di un grande disegno strategico di più lungo periodo è destinata, come afferma Benedetto XVI, ad uscire dalle grandi traiettorie della storia. Purtroppo non si vedono gli uomini in grado di realizzare questo disegno, come invece è avvenuto con i padri fondatore dell’Europa Unita all’indomani delle grandi distruzioni morali e fisiche causate dalla seconda guerra mondiale. Non dimentichiamo che Adenauer, De Gasperi e Schumann erano dei grandi cristiani e degli autentici testimoni dei valori della Dottrina Sociale della Chiesa. 
 
2. IL MODELLO UCID DELLE STRATEGIE D’IMPRESA PER IL BENE COMUNE (SIBC) E IL WELFARE AZIENDALE SUSSIDIARIO
 
Quali sono gli obiettivi dell’impresa? Secondo Friedman l’unico obiettivo dell’impresa deve essere la massimizzazione dei profitti e la creazione di valore per gli azionisti. E’, secondo Friedman, l’unica responsabilità sociale dell’impresa e tutto il resto è eversione. 

La massimizzazione del profitto, nel rispetto naturalmente della legge, porterebbe, secondo Friedman, al benessere generale. Contrario a questa visione è Stiglitz che afferma che solo in casi particolari la massimizzazione del profitto porta all’efficienza economica e al benessere generale. E cio’perchè i mercati non solo omogenei ed esistono le asimmetrie informative. 

Giunge quindi Freeman che afferma che la responsabilità dell’impresa non è solo nei confronti degli azionisti (shareholders) ma anche nei confronti di tutti gli altri portatori di interesse (stakeholders): dipendenti, comunità locali, istituzioni locali, clienti, fornitori, ambiente, azionisti. Tutti questi soggetti contribuiscono alla creazione di valore condiviso, come affermano Porter e Kramer in un famoso articolo del 2011 apparso sulla Rivista Harvard Business Review. La creazione di valore condiviso corrisponde nella sostanza alla creazione di bene comune, l’obiettivo fondamentale della Dottrina Sociale della Chiesa.

Gli strumenti più noti della Responsabilità Sociale dell’Impresa (RSI) sono i codici etici, i bilanci etico-sociali, la certificazione ambientale e così via. Si tratta tutta via di semplici distintivi esteriori che non hanno nulla a che fare con il comportamento etico che innerva dall’interno l’impresa con riferimento alle strategie, ai processi organizzativi e gestionali. Abbiamo purtroppo molti esempi di imprese sia italiane che straniere che avevano il codice etico e poi hanno commesso dei veri e propri furti nei confronti dei risparmiatori e degli altri portatori di interesse dell’azienda. 

Lo aveva già messo in evidenza alla fine dell’ottocento il beato Giuseppe Toniolo. E’ la business etichs di stampo anglosassone da cui l’UCID si è smarcata in modo deciso creando invece il paradigma delle Strategie d’Impresa per il Bene Comune (SIBC), innervando con l’etica i comportamenti interni aziendali: strategie, organizzazione, gestione.

Uno sviluppo della SIBC è rappresentato dal rating sociale che misura la probabilità che l’impresa entri in conflitto con uno o più dei suoi stakeholder, ad esempio l’ambiente. Tale conflitto può portare alla chiusura dell’azienda: pensiamo al caso ILVA.

Nel modello dell’UCID esistono tre categorie di rischi: quello finanziario che riguarda l’incapacità dell’impresa di fare fronte ai propri impegni di pagamento; il rischio economico che riguarda la probabilità che l’impresa ha di entrare in crisi nel settore in cui opera; il rischio sociale di cui si è già detto.

L’UCID ha elaborato un modello per la misurazione del Grado di Rischio Sociale dell’Impresa (GRSI) sulla base dei diversi portatori di interesse e dei loro ambiti di attività: dipendenti, comunità locali, istituzioni locali, clienti, fornitori, ambiente, azionisti, ambiente. In base al rating sociale, opportunamente misurato, l’impresa può essere meno rischiosa ed avere quindi un rating sociale migliore che dovrebbe consentirgli un più largo accesso al credito, sia come disponibilità che come costo (tasso di interesse).

Dal 2016 si assiste nel nostro Paese ad una notevole diffusione del welfare aziendale, anche sotto la spinta di significativi incentivi fiscale. Vediamo qui applicato il principio di sussidiarietà ma anche quello di solidarietà a livello microeconomico. Questa tendenza dovrebbe portare ad una riduzione del Welfare State (soprattutto Previdenza e Assistenza) e a una riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale.

L’UCID possiede un paio di evidenze empiriche riguardanti la diffusione del welfare aziendale a livello sia di grandi imprese che di piccole e medie imprese. La prima indagine campionaria fa riferimento ad una cinquantina di imprese piccole, medie e grandi della Provincia di Torino. In evidenza appaiono i tempi e i luoghi di lavoro. E’ particolarmente apprezzata la flessibilità dei tempi di lavoro, il part time, come pure i congedi parentali. Su percentuali più basse si colloca la preferenza per il telelavoro, con una maggiore incidenza delle piccole e medie imprese. Per quanto riguarda le forme di remunerazione extra, al primo posto troviamo il premio di rendimento, seguito dagli avanzamenti di carriera e dai corsi di formazione e aggiornamento. Anche i servizi che consentono di ridurre il tempo per gli acquisti ai supermercati, i servizi di banca e postali trovano una significativa preferenza. Alte sono le percentuali riguardanti la preferenza per le polizze sanitarie integrative, le spese mediche, quelle dentistiche ed oculistiche. Da segnalare le facilitazioni per le spese scolastiche dei figli e le borse di studio. Anche gli strumenti di relazione aziendale come intranet incontrano una notevole preferenza, come pure i momenti di incontro delle famiglie con l’azienda in particolari momenti dell’anno.

La seconda indagine fa riferimento ad una decina di imprese manifatturiere e di servizi di piccole dimensioni della Provincia di Padova. Essa conferma che il welfare aziendale è diffuso ampiamente anche nelle imprese di piccola dimensione, sia pure con modalità diverse. Da segnalare l’autogoverno dei lavoratori per quanto riguarda i turni di lavoro nel rispetto dell’efficienza organizzativa dell’impresa e dell’economicità. Altri esempi riguardano gli asili nido con servizi offerti non solo ai figli dei dipendenti ma anche alle comunità in cui è inserita l’azienda. Un altro servizio di welfare aziendale riguarda gli alloggi degli immigrati, spesso difficili da trovare in affitto sul mercato. Per questo alcune aziende hanno acquistato appartamenti, poi affittati a canoni contenuti ai dipendenti immigrati.

In definitiva, la globalizzazione e l’accelerazione del progresso scientifico e tecnico ha allargato notevolmente il significato della responsabilità sociale dell’impresa sia come creatrice che distributrice di ricchezza per il bene come. Questo è un concetto ben sottolineato da Benedetto XVI nella Caritas in veritate. Per questo abbiamo bisogno di una nuova teoria dell’impresa che superi l’impostazione economica neoclassica e i valori della Dottrina Sociale della Chiesa possono dare u grande contributo in questa direzione.

Se i dipendenti e tutti gli altri stakeholders dell’azienda stanno bene è tutta l’azienda a trarne vantaggio, anche in termini di produttività e di economicità. In questo modo, come già mettevano i evidenza i nostri migliori economisti della scuola aziendale italiana dei primi anni cinquanta, il valore economico e il valore etico dell’impresa tendono a convergere nel lungo periodo.
 
3. MONDO DEL LAVORO E QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE.
 
La quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo sta letteralmente sconvolgendo il mondo del lavoro. In generale, è l’effetto dell’accelerazione e delle caratteristiche del progresso tecnico che caratterizza la nostra epoca. Il progresso tecnico aumenta la produttività che porta come conseguenza in larga parte l’aumento del reddito pro capite e in parte minore, ma crescente, la riduzione del tempo dedicato al lavoro. Questa è una legge di lunghissimo periodo che si può osservare se guardiamo i due mila anni di storia dopo la nascita di Cristo. Nei primi mille anni di storia economica crescono poco la popolazione, che rimane su bassi livelli, il reddito e il reddito pro capite. Si avverte una prima accelerazione di queste tre variabili nell’Europa occidentale. Pensiamo per questo all’epoca davvero straordinaria del Rinascimento italiano con un eccezionale sviluppo della manifattura, del sistema bancario e della circolazione di monete solidissime come il fiorino ( si pensi a Firenze, ma anche a Venezia, Milano, Pisa e Genova). Il primo grande salto lo vediamo dopo il 1880 in cui la popolazione mondiale supera il miliardo di persone e assistiamo agli effetti della prima rivoluzione industriale. Crescono popolazione, assieme al reddito e al reddito pro capite. Il secondo ciclo di grande sviluppo si registra con la seconda rivoluzione industriale intorno al 1870, in cui vediamo il grande fenomeno della globalizzazione. Il ciclo lungo cade con la prima guerra mondiale e fino a dopo la seconda, con una caduta, soprattutto in Europa, dei ritmi di crescita della popolazione, del reddito e del reddito pro capite, anche per la contrazione degli scambi internazionali e delle politiche autarchiche. Un ciclo eccezionale di sviluppo economico si osserva dopo la seconda guerra mondiale, con un forte sviluppo del reddito, del reddito pro capite e della popolazione. Pensiamo al nostro "miracolo economico" e al fatto che la nostra economia nel 1959, sessant’anni fa, cresceva ad un tasso del 7%. L’epoca d’oro (golden age) termina con le crisi del petrolio degli anni settanta. Segue un periodo di sostanziale stagnazione, fino ad arrivare alla fine degli anni novanta e ai primi anni del nuovo millennio in cui abbiamo una terza rivoluzione industriale, soprattutto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Molte funzioni ripetitive del lavoro, compresi i servizi, vengono rimpiazzate dalle nuove tecnologie con notevoli aumenti di produttività. Cresce la necessità di migliorare la qualità del capitale umano per coniugare positivamente sviluppo tecnologico e sviluppo economico. Le tecnologia si prende quindi una breve pausa dopo di che arriva la quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo, con una crescente convergenza tra tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nanotecnologie, biotecnologie, robotica e intelligenza artificiale. Gli effetti sul mondo del lavoro sono ancora più forti con l’arrivo di Internet delle cose (IOT), della stampante a tre dimensioni, del cloud computing e dei big data,  di Industria 4.0 e delle molteplici applicazioni. Gli effetti sul mondo del lavoro sono talmente dirompenti che alcuni studiosi, come Padre Francesco Occhetta di Civiltà Cattolica, parla di Lavoro 4.0. Gli aumenti di produttività che consente l’applicazione delle nuove tecnologie sono molto forti, ma bisogna saperli cogliere e la trasformazione del mercato del lavoro costituisce certamente una opportunità ma anche un vincolo. I problemi sono tanti, come ad esempio quello dell’uscita delle persone che hanno maturato un certo numero di anni dal mercato del lavoro e l’entrata dei giovani che hanno una maggiore propensione verso l’applicazione delle nuove tecnologie (nativi digitali). Si tratta della gestione sempre più difficile dei sistemi pensionistici, con il passaggio dai metodi di ripartizione a quelli di capitalizzazione e dai metodi retributivi a quelli contributivi. Ancora più a monte esistono i problemi della scuola e della formazione che deve essere permanente. La scuola è ancora ancorata ai metodi passati e stenta a fare il salto verso modelli richiesti dalla quarta rivoluzione industriale. Qualcosa si sta tentando, come l’alternanza scuola-lavoro (ASL), ma siamo molto indietro rispetto ad altri Pesi come, ad esempio, la Germania. Padre Occhetta rimane piuttosto dubbioso sugli effetti finali di quella che lui definisce rivoluzione del Lavoro 4.0, ma sostiene con fermezza che in ogni caso dovrà essere rispettata la dignità dell’uomo che lavora secondo i grandi insegnamenti della Dottrina Sociale della Chiesa (si veda ad esempio la Laborem exercens di Giovanni Paolo II del 1981) e della nostra Costituzione (v. articolo 1). 


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